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Di fronte all’immagine

Lettori carissimi, chiedo a chi si accinge a leggere questo lungo intervento sull’arte di avere molta pazienza.

L’argomento è complesso e vuole essere un ulteriore approfondimento del precedente. Infatti, riguarda ancora la “lettura” corretta di un’opera d’arte. Vi posso assicurare che non ve ne pentirete.

Però, se siete stanchi per una giornata di lavoro, approfittatene un’altra volta

In un articolo precedente è stato trattata la differenza che intercorre tra giudizio estetico e artistico. In questo ci addentreremo nei particolari.

Federico Zeri indimenticato storico e critico d’arte fece delle sue 5 lezioni all’Università Cattolica di Milano un libro dal titolo: “Dietro all’immagine”, che rappresenta una pietra miliare per chi vuole accostarsi alla lettura di un’opera d’arte, a cui rimando, ovviamente, chi avesse voglia di approfondimenti.

La derivazione della parola “arte” è stata trattata in un precedente articolo. Ora vorrei sottolineare il genere, se maschile o femminile.

Mi sono presa la briga di consultare più vocabolari. Risultato?

Ad eccezione del francese in cui art è maschile, in tutte le altre lingue dal latino (ars) al tedesco (kunst), al polacco (sztuka), all’inglese (art), all’italiano (arte) e perfino nel siciliano (l’arti), il sostantivo è femminile, quindi ha a che fare col femminile, anzi col “divino femminile” e cioè con l'intelligenza emotiva, la creatività, la compassione, la saggezza divina e così via e che ci fa vedere il mondo e le cose del mondo da un’altra angolazione, da un altro punto di vista.

Da arte deriva ovviamente artista

E chi è costui? È colui che agisce, spinto da un sommovimento interiore, grazie al “divino femminile” che lo porta verso un “altrove”, cioè a percepire una realtà altra ma ugualmente reale, come quella in cui viviamo. 

In altre parole, l’arte è fascinazione, è scandaglio nel magma dell’esistenza.

E, checché se ne voglia dire, non è per tutti, anche se a tutti è stato dato il dono della creatività, facoltà posta nell’emisfero destro di quella materia “grigrioperla” un poco trasognata, che si trova dentro la nostra testa, e che al momento della nascita è bello, attivo e funzionante, mentre nell’emisfero sinistro “riposa” la razionalità, che si acquisisce dal primo vagito e si va man mano a rinforzare, ad ampliare, nel corso della vita.

Infatti, dall’asilo alla vecchiaia, non facciamo altro che rafforzare l’emisfero sinistro, la razionalità, per diventare cittadini modello, alunni modello, donne e uomini modello, padri e madri modello e così via, mentre tendiamo a mortificare la creatività, la fantasia., le percezioni più o meno inconsce. Questo avviene in modo particolare nella nostra epoca, in cui è incoraggiata la razionalità, la logicità e mortificata la fantasia.

Quante volte davanti a una fantasticheria, caro lettore, non hai sentito dire a chi ti sta vicino: “caro mio, scendi con i piedi sulla terra.” Ecco dimostrato come in questo modo è stato “mortificato” l’emisfero destro.

Di conseguenza, solo pochissimi artisti oggi sono in grado di rendere metaforica la realtà.

Cosa resta da fare? Da un secolo a questa parte, spesso non si è fatto altro che esibire un oggetto qualsiasi come opera d’arte.

Infatti, l’oggetto prelevato direttamente dalla realtà diventa momento di elementare informazione (insonnia, violenza, abuso, tenerezza e così via) senza la complessità di una visione più o meno organica dell’esistente.

In tal modo, ed è questa a parer mio la cosa molto grave riguardante l’arte contemporanea, viene a essere soppresso lo scarto tra intuizione irrazionale, il divino femminile, (emisfero destro) che è creatività e quindi arricchimento del modo di vedere la realtà e l’intenzione razionale (emisfero sinistro) che è visione concreta del mondo. 

L’arte, per essere arte, ma anche musica, poesia, teatro, cinema… ha bisogno della compresenza dei due emisferi.

Più o meno, diceva Musil, da par suo, ne: “Il giovane Törless”, che: “ogni grande invenzione avviene per metà nel cerchio illuminato della nostra mente cosciente (parte sinistra del cervello NdR) e per l’altra metà nell’oscuro recesso del nostro essere più interiore (parte destra del cervello NdR).

Ma, anche Einstein pensava su per giù allo stesso modo.

Di conseguenza ogni immagine, ogni parola, ogni suono è segno della coscienza percipiente (parte razionale) che è soggetta, a contatto col mondo, a infinite trasformazioni da parte di un artista (parte irrazionale) ed è soggetta anche a infinite interpretazioni da parte del fruitore che ne decodifica il messaggio.

Naturalmente, quando si discute di arte è necessario sempre tenere ben presente i concetti testé espressi, a cui si aggiunga il concetto che la vera arte è sempre “aristocratica”, nel senso che è selettiva, infatti il vocabolo deriva dal greco àristos, il migliore, e kràtos potere, forza. Cioè l’arte è qualcosa in potere del migliore, di colui che riesce a intuire e poi a dominare la materia artistica in modo egregio, non concesso a tutti.

E cosa è la materia artistica se non l’eco di viaggi, di movimenti della psiche, della fantasia ecc., che pescano proprio nella risonanza interiore del singolo artista, che attinge a un’emozione viva e che cerca di dare delle risposte ai problemi esistenziali, al dolore di vivere e sopravvivere? Ma, ciò deve essere fatto sempre in modo “poetico”, aristocratico appunto.

Tutte le arti, infatti, se vi prestiamo un attimo di attenzione, devono tendere verso la poesia, senza la quale qualsiasi opera sarebbe fredda e meccanica, anche se realizzata in modo ineccepibile.

Non per nulla il detto orazione “ut pictura poesis” è leggibile nei due versi.

In sintesi e in altre parole, l’arte è elitaria e aristocratica. Perché, sia che lo vogliamo o non lo vogliamo, ha bisogno di applicazione, di sforzo diuturno, di studio e di esercizio costante. Infatti, affilando gli strumenti della conoscenza, cioè affinando la tecnica espressiva, nel nostro caso artistica, diventi molto più facile il dire, il rappresentare, il musicare e così via il nostro sentire, la nostra fantasia, l’uso della nostra metà destra del cervello, che armonicamente e in grande equilibrio si collega con la sinistra.

È come quando si scrive un tema, se non si conosce bene la grammatica e la sintassi, come si fa a elaborare un periodo corretto e comprensibile?

Oggi tutto deve essere facile e alla portata di tutti, per cui tutti siamo artisti, tutti poeti, tutti musicisti, romanzieri e via elencando. 

Questo, è vero, è un bene, è positivo, perché ciascuno ha il diritto sacrosanto di esprimere anche la parte creativa del proprio cervello. Personalmente inneggio a ogni forma di creatività, perché ci libera dai fantasmi interiori, anche attraverso uno scarabocchio, una parola, un suono.
Ora, a dimostrazione di quanto detto, osserviamo attentamente un’immagine stranissima, quella di due manichini, che Giorgio De Chirico, importante pittore metafisico, ha posto uno di fronte all’altro e ha intitolato il quadro: Ettore e Andromaca.

Pensiero intuitivo dell’artista: l’uomo di oggi è nella società come un manichino, un automa, che deve solo fare il suo lavoro, immaginate un uomo alla catena di montaggio, ecco questa è stata l’intuizione generata dalla parte destra del cervello, che la parte sinistra ha poi razionalizzato e reso quell’idea un capolavoro attraverso la conoscenza della tecnica pittorica.

È un esempio banale, cari lettori, ma spero di aver reso l’idea. 
 

Dunque, a questo punto sarete stanchi della lunga tiritera, ma chiedo solo ancora un attimo di pazienza.

Non sbuffate, la lettura ha questa bellissima prerogativa, si può sempre tornare a rileggere e se lo farete, come spesso faccio io, vedrete che ogni volta comprendere gli argomenti in modo diverso.    Non è necessario che sia io a dirlo.

A questo punto, bisogna definire: “Cosa è un codice in arte?”

Mi riferisco a una teoria messa in campo da De Fusco (1929-2024) storico dell’arte. Egli sostiene che le opere d’arte fino alla fine dell’800 potevano essere lette da vari punti di vista (codice multiplo):

  • a) come un racconto tratto dalla vita, dai testi sacri, dalla letteratura,

  • b) come una scena di teatro,

  • c) oppure potevano essere letti secondo l’ordine compositivo in base a regole proporzionali e armoniche, d)

  • o secondo il sistema coloristico,

  • e) o secondo un simbolismo,

  • f) o in base a un referente tratto dalle fonti più svariate e così via.

In questo senso, ogni opera d’arte si può avvalere di tanti strati di conoscenze e per ciò stesso può essere fruita a seconda della preparazione del riguardante. Le immagini, infatti, gli stessi cicli di affreschi delle chiese che raccontavano le storie del Vecchio o del Nuovo Testamento, come tutti sanno, venivano considerati la Bibbia dei poveri, appunto perché allora, essendo la maggior parte delle persone analfabete, “leggevano” i sacri testi attraverso le immagini.

Oggi la lettura di un’opera attraverso un codice multiplo è passata al cinema. Infatti, ogni film può essere fruito in relazione a una storia che si vuole raccontare, in relazione al colore dominante nelle singole scene, in relazione all’equilibrio formale delle sue scene, in relazione al messaggio morale, artistico, sociale ecc. che vuole lanciare. Un esempio per tutti: “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore ci fa conoscere una storia, inoltre, le varie scene hanno un certo colore dominante. Dal punto di vista letterario rappresenta la metafora del viaggio dentro noi stessi.

Può essere “letto”, ancora, come letteratura memorialistica, perché c’è un tizio che ricorda, o come qualsiasi altra cosa.

Quanto sopra, quindi, è accaduto all’arte del passato, il film di allora.

Sperando nella chiarezza di questi concetti, passerei a considerare il codice specifico o unico, caratteristico dell’arte moderna e contemporanea. Esso è quanto mai variegato e complesso nel suo insieme. 

Quadro di Jackson Pollock
Jackson Pollock

Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 in arte si evidenzia un costante formarsi ed esaurirsi di tendenze e di gruppi, ognuno dei quali sviluppa un proprio pensiero, una propria poetica cioè, che poggia l’accento:

  • 1) ora sulla comunicazione immediata, vedi l’Espressionismo;

  • 2) ora tende a mettere in evidenza il valore puro del colore come nei Fauves;

  • 3) oppure tende all’equilibrio tra elementi astratti: triangoli, quadrati, rettangoli, linee... come in De Stijl;

  • 4) o evidenzia il movimento dinamico come nel Futurismo;

  • 5) o tende a elaborare temi onirici, vedi il Surrealismo;

  • 6) può anche mirare a un nichilismo assolutamente ironico come nella corrente Dada;

  • 7) oppure può tener conto del gesto e del caso contro la regola, vedi l’Informale;

  • 8) o può rispecchiare alcuni aspetti della cultura di massa vedi la Pop Art;

  • 9) oppure ancora può riflettere sui propri mezzi di espressione, vedi l’arte Concettuale, e così di seguito.

Il problema, nel caso dell’arte contemporanea, consiste nel fatto che davanti a un’opera, per esempio informale, se non ne conosciamo il codice siamo indotti a pensare che si tratti di una serie di macchie a caso. Eppure, per esperienza personale, posso dire che solo negli artisti più superficiali questo avviene, ma in alcuni come Pollock, il padre dell’Informale, come Emilio Vedova, come Gino Cilio e tanti altri la gestualità è assolutamente calibrata e presenta a monte tutta una serie di esperienze pittoriche di prim’ordine, altrimenti la macchia resta macchia e non esprime nulla. Non diventa armonia di colori e forme, non diventa, in altre parole, poesia.

Questo genere di “specializzazione” dell’opera d’arte evidentemente ha imposto per ogni linea espressiva una particolare chiave di lettura, che se non si possiede, si comprende ben poco di un lavoro.

 

È come la professione medica, per praticarla bisogna conoscere la medicina e le varie specializzazioni.

Così se uno non si intende di arte e non l’ha mai studiata, davanti a un’opera d’arte, poniamo informale, come si sente?

C’è anche da dire, come sostenevo poco sopra, che l’arte contemporanea presta il fianco a moltissime mistificazioni, anzi posso dire, senza tema di essere smentita, che spesso sono più le mistificazioni che le vere opere. 

È questo il motivo per cui, lettori miei, parlo spesso della facoltà del “giudicare”, del dire cioè con “iudicio”.

Quadri di Gino Cilio
Gino Cilio - Installazione

E chi può dire con iudicio? Solo chi ha trascorso una vita di studio e di lavoro sul campo. Noi siamo orecchianti e magari orecchianti interessati al mondo dell’arte e quindi come verso ogni cosa, anche verso il mondo dell’arte bisogna avvicinarsi con umiltà e rispetto e sempre in punta di piedi, leggendo testi su testi.

Abbiamo gli occhi per vedere. Questo è vero. Abbiamo le orecchie per sentire. Questo è vero, ma non siamo in grado, se non dopo studi “matti e disperatissimi”, di valutare…

Ovviamente, questo avviene per ogni branca del sapere.

Una domanda spontanea, invece, sarà quella di chiedere come mai nel valutare un’opera si passò dal codice multiplo a quello unico?

Cerco di rispondere, miei pazienti lettori, come posso.

Un tempo l’arte, come sapete tutti, aveva il compito di rappresentare dei valori religiosi, ho parlato altrove della Bibbia dei poveri, oppure dei valori morali, civili, storici, antropologici e via elencando.

Quando, però, questi valori cominciarono a vacillare e la realtà del mondo non venne vista più “sub specie aeternitatis”, ma frantumata in mille modi di vita, gli artisti si chiesero quale rapporto ci fosse tra arte e vita, o almeno un qualche aspetto della vita e ognuno singolarmente ma soprattutto in gruppo diede le sue risposte, ora mettendo in evidenza l’aspetto razionale, ora quello onirico, ora quello casuale, ora quello dinamico, ora quello cinetico, ora quello popolare, ora quello irrazionale e così di seguito.

Per esprimere ciascun “aspetto” qui sopra indicato, gli artisti misero in opera vari “artifici”, che diedero luogo al Cubismo, al Futurismo, all’Espressionismo, al Dadaismo, al Surrealismo, all’Informale, al Concettuale e così via, che esamineremo in futuro di volta in volta.

Quadro di Botticelli: la primavera
Botticelli: La primavera

Prima, però, abituiamoci a comprendere un poco meglio l’arte che si definisce classica e cioè quella col codice multiplo, oggetto dei prossimi articoli, perché apparentemente sembra più semplice, in realtà è infinitamente più complicata, appunto perché i codici sono tanti e sviscerarli tutti non sempre è possibile.

Avete presente quella che impropriamente si chiama: “La Primavera di Botticelli”? Beh, a tutt’oggi, dopo secoli e secoli, non c’è ancora un’interpretazione convincente su quello che l’artista ha voluto rappresentare con la sua opera anche per i tanti simboli che compaiono in essa. Diceva Federico Zeri, citato in apertura, che già noi dopo trent’anni circa perdiamo il senso di alcune immagini, figuriamoci a tanta distanza di tempo. 

E comunque, teniamo presente, sempre, che le opere d’arte di qualunque genere, pittoriche, poetiche, musicali… attingono tutti a una stessa fonte: lo “spirito del tempo” che le ha generate.

Noi figli di tempi altri, non credo che possiamo comprendere appieno il senso profondo delle immagini di alcune epoche, anche studiandoci sopra una vita.

Oggi leggiamo la Divina Commedia, e magari ci piace moltissimo. Ma, quel mondo armonico, retto da una mente ordinatrice, in cui le sfere celesti non facevano una grinza, non lo comprendiamo più, quel mondo regolato da ritmi sempre uguali e che lo rendeva eterno ha perso senso, insieme alla domanda sui destini ultimi.

Al suo posto la contemporaneità ci offre un mondo caotico di cui non riusciamo a vederne le finalità.

Tutto oggi è precario e confuso e quindi quella realtà armonica e finalisticamente indirizzata è fuori per sempre dalla nostra portata. Resta l’uomo con la sua fede, oppure con la sua violenza, oppure col suo desiderio d’amore, che nei grandissimi assume connotazione universale e noi di quello soltanto possiamo e dobbiamo accontentarci.

Il mondo medievale, di cui Dante rappresenta la summa, non esiste più, così come non esistono le altre epoche se non come storia, però possiamo gustare ciò che di eterno un’opera rappresenta, l’amore, l’amicizia, il dolore, la follia, la violenza...

Tutto questo preambolo per dirvi, che spesso è bello godere dell’opera sia a figure, che non, solo per l’emozione che suscita in noi, molto ci resterà precluso per sempre, nonostante ci siano dei ricercatori che ambiscono, attraverso lo studio comparato, di capire effettivamente qual è il “racconto” vero di un’opera figurativa, ma anche di un’immagine qualsivoglia.

Adesso, mia cara lettrice e mio caro lettore, dopo questa lunga e intricata tiritera facciamo un break e tiriamo una boccata d’ossigeno, dato che le argomentazioni sono state assai complesse.

Lidia Pizzo