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Arte e follia

Niente paura, amico lettore, per l’intestazione, continua a leggere e ti renderai conto, che la follia di cui vorrei parlare, nulla ha a che vedere con la patologia e quindi col nostro discorso.

Infatti, intendevo riferirmi alla follia bella, affascinante, coinvolgente, che spesso lascia stupiti davanti alle opere d’arte.

Tuttavia, a scanso di equivoci, prima di andare avanti col nostro discorso, per forza di cose dovrò operare un distinguo, in modo che risulti a tutti lampante lo spartiacque che separa l’artista dal folle vero e proprio.

Quante volte davanti a certe opere, immaginate il Giudizio Universale della Cappella Sistina, che occupa una parete intera, con quella figura del Cristo e tutta la pletora dei personaggi buoni e cattivi, avrete pensato: “Ma, questo Michelangelo era proprio pazzo a realizzare pressoché da solo questa parete enorme!”

Senza dire di tutto il resto. Dovrei avere a disposizione un paio di libri e forse più, per illustrare ad esempio quale significato ha il rapporto tra quelle che si possono definire figure sacre e quelle profane, a partire dalle “Sibille”.

A questo punto vi sarà chiaro lo spartiacque tra la follia patologica e questa magnifica follia.
Infatti, l’artista è “consapevole” di ogni suo gesto, il folle, quello che soffre del disagio psichico, no.

Vorrei raccontare a questo punto, a proposito della Cappella Sistina, una mia esperienza personale.

La prima volta che la visitai, tantissimi anni fa, quando il turismo di massa non era ancora in auge, attesi dietro la porta una mezzora, dopo di che mi si spalancò il complesso di immagini più stupefacenti della mia vita. Rimasi stordita, perché è questo stordimento che vi dà la visita alla Cappella Sistina, soprattutto se siete soli a guardare imbambolati quella meraviglia, mentre un’armonia si snoda solo per voi. Ma… correva l’inizio degli anni settanta.

Quando vi tornai una decina di anni fa, l’unica sensazione che provai fu quella della claustrofobia, con migliaia di visitatori e decine di Ciceroni. Se per caso ti cadeva un oggetto non avresti mai potuto recuperarlo, data la calca.
Gli affari sono affari e chi perde… è l’arte, che come dice il mio caro amico: Antonio Presti non ha bisogno di folle ma di fedeli. 
Eppure, chissà alla vista di tanta bellezza qualcuno tra la folla potrebbe diventare un “fedele”.
Ma, torniamo al nostro argomento. Era folle Michelangelo Buonarroti?
Una domanda sorge spontanea: “Il folle in realtà chi è?”

A sentire i cervelloni, che curano mente e psiche, insomma a sentire gli “strizzacervelli”, i folli sono quelli che non mettono più in relazione “significante” e “significato”.

Parole grosse certo, ma non tanto, se porto qualche esempio.

Io sono folle, guardo il dito mio malato (significante) e identifico quel dito con tutto il corpo mio (significato). Oppure, io affetto da patologia psichica vedo una sedia (significante) e dico che “io” sono una sedia (significato). Quanto sopra per la gente comune non ha alcun senso, per il folle è perfettamente logico, anzi a questo crede ciecamente.

Cosa ha fatto il folle? Ha scardinato un modo di vedere: sedia non più oggetto per sedersi, ma persona che crede di essere una sedia.
Tracciata grosso modo la fisionomia del disagiato psichico, andiamo all’altro soggetto tormentato dal demone della creazione: l’artista.

Caro lettore, a questo punto mi occorre un esempio più concreto ancora.
Una margherita per tutti è un fiore, per l’artista una margherita può essere investita di un significato simbolico diverso e può stare a significare, che so io, le pene dell’amore, la purezza, la forma ideale, la bellezza delle piccole cose o altro.

In poche parole, alla domanda: “chi è l’artista?” ecco in sintesi una possibile risposta: l’artista è colui che cambia, scardina, il nostro modo simbolico di vedere la realtà per farcela percepire in modo diverso: un vaso a forma di margherita oppure con l’aspetto di un piatto… tanto per portare esempi molto banali, ma comprensibili.
Conseguentemente, l’artista è colui che non si “conforma” al modo di vedere comune, però ne ha piena coscienza. Immaginate la Pietà di Michelangelo in San Pietro a Roma. Una donna così giovane non poteva portare in grembo un figlio così grande, addirittura quasi più vecchio della madre. Lo chiarisce Michelangelo stesso a colui che scrisse la sua biografia, un certo Condivi: "La castità, la santità e l'incorruzione preservano la giovinezza".

Ecco dimostrata la follia dell’arte. L’artista in realtà può scardinare sia il significante che il significato. Nel linguaggio di ogni giorno sarebbe follia, nella realtà dell’arte no.
Lo stesso Nobel 1946 della letteratura Herman Hesse, che certo di disagio psichico se ne intendeva, ebbe a dire nel suo romanzo breve intitolato “Demian” già nel 1919 che: “… c’è una bella differenza tra l’avere il mondo dentro di sé ed esserne anche consapevoli! Un pazzo può produrre pensieri che ricordino Platone e lo scolaretto devoto di un istituto religioso può concepire nessi mitologici che troviamo negli gnostici o in Zoroastro. Ma non ne sa niente e finché non lo sa è un albero o un sasso… Quando poi gli balena la prima scintilla di questa conoscenza diventa uomo”. (Hermann Hesse, Demian, Oscar Mondadori, 2006, 144)

Cari e attenti lettori, anche se un po’ pesantucci queste righe credo che abbiano il pregio di farci comprendere che un artista è tale non perché è folle e quindi inconsapevole, è tale perché ha realizzato a monte un sistema consapevole di pensiero, di studi, di lavoro, di acquisizioni e li ha interpretati in modo originale.
Avete presente “La notte stellata” di Van Gogh?

Osservatela a lungo. 

Ora immaginate una zona lontanissima dalle luci della città, con un cielo completamente scuro nel bel mezzo di una notte di luglio-agosto. Alzate gli occhi e… migliaia di stelle compaiono sopra la vostra testa, che sembrano lucine intermittenti, magari ci danno il capogiro inseriti in un certo ambiente, per esempio sacro.

Ecco, questo ha visto l’artista in una notte stellata.

Tuttavia, prima di addentrarmi ulteriormente nel discorso, vorrei sottolineare che nessuno nasce folle. Chi di voi ha mai sentito dire che un neonato è nato pazzo? Tutti nasciamo savi e quelli di cui sopra erano equilibratissimi e sapientissimi, avevano acquisito i “ferri del mestiere” sin da giovani, ma a un certo punto la loro mente non resse l’impatto con la realtà, con tutto ciò li circondava, con la cultura di cui si erano nutriti e così via ed entrò in cortocircuito. 

Questo mandò il cervello, a alcuni, totalmente fuori uso, vedi il filosofo Nietzsche (che trascorse decenni in manicomio, e non dimentichiamo quali lager questi fossero a quei tempi, e non scrisse mai più un rigo), ad altri il cortocircuito provocò danni minori e magari acuì la sensibilità e accelerò un percorso già in atto di “lettura” della realtà attuata in modo diverso rispetto a com’era stato fatto fino ad allora.

Tuttavia, tutti, indistintamente, conoscevano benissimo il loro mestiere anche prima della malattia e avevano acquisito un consapevole sistema di pensiero. 

Van Gogh sarebbe stato grande artista anche senza l’ultimo periodo, di cui, in verità, si è appropriata molto di più la pubblicità, facendone un artista “maudit”. Basti pensare, per converso, a quel capolavoro che sono le diverse versioni delle “Scarpe”, opere che da sole narrano, più di un qualsiasi romanzo, la storia di una vita…

Vita dura, fatta di stenti e di grandi fatiche, di miseria e sconforto. Ecco dei capolavori! Cosa possiamo volere di più dalla semplicità e comprensibilità di una rappresentazione visiva su una tela, o qualunque altro supporto, che narri la complessità della vita? Detto tra parentesi, fu questo modo di rappresentazione che diede il via a quel movimento noto come “Espressionismo”.

Un altro artista che la storia ci ha tramandato invece come assolutamente razionale fu Piet Mondrian. E sapete cosa fece nella sua saggia follia per trovare un modo consono al suo modo di pensare? Dipinse un albero per tante volte di seguito, ma ogni volta che lo dipingeva lo stilizzava sempre più, fino a ridurlo in forme geometriche, cioè quadratini e rettangolini, quelle forme che tutti conosciamo di colore giallo, rosso, blu, bianco, incrociate da fasce nere del cui stile si è impossessata per un certo periodo anche la moda.

Eppure, Mondrian non era affatto folle.

Quindi, la domanda che si potrebbe porre è: fino a che punto la follia incide sulla produzione artistica di una persona? Certo, a mio parere, come nel caso di Van Gogh, a cui ho già accennato, la patologia potrebbe avere accelerato un processo di “lettura” del reale diverso e anticonformista, ma già in partenza lui era un artista nato con quella vocazione espressiva, come Mondrian e come tanti altri.

A questo punto, attento lettore, cerchiamo di sintetizzare quanto detto.
Poco sopra abbiamo guardato alla patologia del “disagiato psichico” e abbiamo cercato di operare un “distinguo” tra il folle e l’artista.

L’artista, come avete potuto notare, gentili lettori, a differenza della massima parte delle persone, è in realtà e per fortuna un anticonformista.

Ma cosa è il conformismo in poche parole?

La maggior parte di noi è conformista, perché pensa allo stesso modo di tante altre persone, della maggior parte, diciamo, e oggi, in modo particolare, il conformismo è auspicato da tutte le parti, anzi chi pensa in modo diverso è classificato come pazzo e quindi da “curare”, appunto perché non si “conforma” ai modelli offertici dalla pubblicità, dalla televisione, dai giornali, dalla moda e così via.
Quanti bambini, ragazzi, donne, giovanotti… se non indossano quella determinata griffe si sentono out, se non hanno quel determinato tipo di automobile, motorino, cellulare, merendina vengono assaliti da complessi di inferiorità, e se ci facciamo una bell’analisi di coscienza, cosa oggi molto, molto desueta, anche noi adulti maggiorenni e vaccinati e pure anziani ci sentiamo fuorimoda, ci sentiamo non conformi al modello che vuole che… “la dentiera” non si veda! 

Lettori miei, non sarebbe male se usassimo un po’ di più quel poco di materia grigia in modo più razionale, sicuramente le cose potrebbero andare meglio. E se riflettiamo un attimo, allora, non ci viene spontaneo pensare che siamo noi i folli che, a bocca spalancata, accettiamo tutto quello che ci propinano dall’esterno senza battere ciglio, dall’Isola dei Famosi al Grande Fratello, alle telenovele orrende, che durano e dicono una vita di scempiaggini, di dejà vu o di griffe costosissime e così via? Forse non sarebbe meglio una vena piccola piccola di anticonformismo più o meno ragionato?

Faccio un esempio banale, noi persone razionali osserviamo un’autostrada e cosa vediamo? Una sfilza di automobili, questo è lampante.

Ma l’anticonformista per eccellenza, l’artista, cosa potrebbe vedere?

Tre, quattro aratri. Per far notare cosa?

Mille problemi: la distruzione del paesaggio, l’inquinamento, la velocità odierna rispetto alla lentezza dei tempi andati, la meccanizzazione e l’automazione, il miglioramento o il peggioramento, a seconda dei punti di vista, della vita di ogni giorno e molto altro ancora.

Ecco, questo è a parer mio l’artista. Quello che accosta cose insolite, come Van Gogh aveva “visto” le stelle come luminarie, come Mondrian che aveva stilizzato l’albero fino a farlo diventare un insieme di quadrati e di rettangoli, e così via. E per finire, sperando nella chiarezza del mio discorso, vorrei esortare, tutti, me compresa, a essere meno conformisti e un po’ più… “artisti”.

Riflessione: e la pubblicità che fine farebbe?

Lidia Pizzo